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Bling Ring - Recensione

25/09/2013 | Recensioni |
Bling Ring - Recensione

Glamour, glamour e ancora glamour. Vera ossessione più che semplice mania. Conformarsi a stili e modi di vita di star divenute oggetto di idolatria, questa sembra essere la pericolosa deriva che in questi ultimi anni ha preso la vecchia mania di “trasgredire” tipica dell’età adolescenziale.
Il film di Sofia Coppola parla di fatti veri, cronaca pura e dura. The Bling Ring (cioè “gang dei gioielloni patacca”) era il soprannome dato alla “banda” di giovanissimi che tra il 2008 e il 2009 svaligiò le case di alcune celebrities sulle colline di Los Angeles. Attori e non solo, gente ricca e famosa come Paris Hilton, Lindsay Lohan, Rachel Bilson, Orlando Bloom, vennero derubati di abiti, accessori e gioielli da un gruppo di ragazze (insieme a un ragazzo coinvolto suo malgrado) vittime del culto della celebrità e della moda. Grazie a internet e in particolare ai siti di gossip, i ragazzi venivano a conoscenza dei periodi di lontananza delle star dalle loro case e si mettevano all’opera. Prima di essere inchiodati dalla polizia, i giovani avevano già accumulato un bottino di più di tre milioni di dollari. 
Presentato all’ultimo Festival di Cannes nella sezione “Un certain regard”, il film prende le mosse da un articolo-inchiesta della giornalista americana Nancy Joe Sales “The Suspects Wore Louboutins” (“I sospetti indossavano Louboutins”) pubblicato sul magazine Vanity Fair nel 2010.
Il ritratto dei giovani che viene fuori dal racconto di fatti realmente accaduti è desolante. Un gruppo di adolescenti che passa i pomeriggi facendo blitz nei negozi di abbigliamento e le serate in club esclusivi dove, smartphone alla mano, non fanno altro che fotografarsi con il look più modaiolo per postarsi su vari social network. Ma la sfida più eccitante è introdursi nelle case dei loro idoli assoluti dove la loro smania bulimica per oggetti e abiti raggiunge il suo culmine in un’orgia visiva di colori e luccichii. Infine, la cosa più grave: scoperti dalla polizia e interrogati, non sembrano rendersi conto della gravità delle loro azioni mentre invece sono interessati soprattutto alla celebrità ottenuta grazie alle rapine.
Qualcosa è cambiato tra gli adolescenti, qualcosa di profondo: a renderli irrequieti non è più la smania di “opporsi” ma il desiderio di “conformarsi” al mondo degli adulti ricchi e famosi. Un vero cambio di rotta, sociologicamente epocale. Oggetti, accessori, abiti, gadget, sono la carta d’identità di un certo status, lo status di potere della “gente che conta”. E così la spinta all’omologazione, complici veicoli di fruizione immediata come Facebook e Twitter, raggiunge vette parossistiche.
“Cose” che identificano “persone”, “cose” che significano “successo”, “fama”, in una parola “potere”. Il desiderio di “avere”, che ormai ha superato anzi schiacciato sotto la sua pesante ala quello di “essere”, miete vittime a non finire in tutto il mondo globalizzato.
Vizi, manie, ossessioni, che trovano nella pagina di cinema firmata da Sofia Coppola una perfetta traduzione in immagini, grazie anche a un cast indovinato che vede, accanto alle esordienti Claire Julien e Katie Chang e ai semi-esordienti Taissa Farmiga e Israel Broussard, la più nota Emma Watson (Hermione nella saga cinematografica di Harry Potter) dominare la scena. Adeguando la sua mano sensibile di regista ad un ritmo assolutamente diverso dai tempi più lenti e cadenzati di suoi precedenti film come Somewhere e ancor prima Lost in Translation, la regista impone alla narrazione il ritmo sostenuto delle belle musiche scelte per accompagnare la pellicola. Astenendosi dall’emettere giudizi e da qualsiasi tentazione di denuncia sociale, la Coppola si limita a registrare, a documentare i fatti, arricchendo le immagini con il suo stile pop e curatissimo. E l’istantanea drammatica, ma al tempo stesso quasi grottesca, di una gioventù smarrita nel proprio vuoto resta da sola a dominare sullo schermo.

Elena Bartoni
 

 


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